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SI E' CHIUSO IL DIARIO DI GINEVRA CHE RINGRAZIAMO PER LA COLLABORAZIONE DISINTERESSATA. CI HA APERTO UNA FINESTRA SU DI UN PAESE SCONOSCIUTO A MOLTI, MENTRE SVOLGEVA UNA MISSIONE SOCIOCULTURALE DI INDUBBIO VALORE.

GINEVRA, ECCO IL SUO "DIARIO" DALLA CAMBOGIA MENTRE SI PREPARA AD UNA NUOVA MISSIONE IN VIETNAM

LA NOSTRA AMICA CI DICE DEL SUO IMPEGNO DI VOLONTARIA IN UNA ONG IN FAVORE DEI GIOVANI CAMBOGIANI, DI SOLITO UNIVERSITARI, PER CONSENTIRE LORO DI ESSERE PROTAGONISTI DELLA PROPRIA VITA E DEL PROPRIO PAESE.

UN'AZIONE DIFFICILE: STIMOLARE, FORMARE I GIOVANI PER COSTRUIRE UN FUTURO DI DEMOCRAZIA E DI GIUSTIZIA SOCIALE, IN UN PAESE TORMENTATO DA ANNI DI GUERRA E INGIUSTIZIE, PER OPPORSI ALLE DISTORSIONI GENERATE DAL POTERE MALATO. UN PROBLEMA DI AMPIEZZA MONDIALE...

Il mio lavoro in una Organizzazione Non Governativa locale. Alcune riflessioni sulla società cambogiana.

6.2.2011

Dopo il primo mese di acclimatamento e di training, linguistico, storico e culturale, ho iniziato a ottobre a lavorare presso una ONG cambogiana, Youth Resource Development Program (Figura 1).

 

 

stemma 

Figura 1. Il logo di YRDP – figurano sia uomini che donne.

Nelle ONG si è molto attenti a garantire parità dei sessi.

 

Che si occupi di sviluppo, development, non stupisce, ma quel che mi fa sorridere è invece il fatto le sue attività si incentrino sulla risorsa “giovani”, cioè youth resource. Nemmeno questo mi stupisce, ma mi pare solo un elemento che in realtà già dice molto. La Cambogia è una nazione di giovani, manca una generazione, diciamo quella dei nonni, dei nati negli anni quaranta. E questo non solo perché le aspettative di vita sono minori, ma anche per causa dei disastri, delle continue guerre che hanno insanguinato questa terra tra gli anni settanta e novanta. Per le strade sono pochi i vecchi che si incontrano, quei cari nonni con i capelli bianchi e l’andatura incerta, mancano quelle figure che nel nostro Paese sono un po’ ovunque, che stanno sedute su una panchina a osservare chi passa per strada e pensano “ah, se i giovani sapessero e i vecchi potessero…”. Quindi di conseguenza molte ONG qui, in particolare in città, a Phnom Penh, si occupano di lavorare con i giovani, sui giovani. Lo scopo è anche quello di garantire l’accesso a informazioni e a conoscenze che altrimenti tramite l’ambiente scolastico e accademico non conoscerebbero mai (la qualità dell’istruzione è generalmente molto bassa, anche per chi può permettersi istituti privati).

Il caso della mia ONG è esemplare in questo senso e devo dire che ne vado anche molto fiera. Il nostro scopo, mi si perdoni l’uso della prima persona plurale, ma mi sento molto coinvolta in questa “missione”, è quello di aiutare i ragazzi (soprattutto ci indirizziamo a studenti universitari) a sviluppare critical thinking skills, ossia uno spirito e un approccio critico verso il mondo che li circonda. Per fare questo, ci avvaliamo soprattutto di training, negli argomenti i più vari possibili (sul Personal Development, sull’amore e il matrimonio, su come scrivere un CV…).

Ma cosa significa “un approccio critico”? Il significato primo che do io è quello di “fare domande, farne agli altri, farne a se stessi”. E scusate se è poco! Stando qui mi sono resa conto di quanto questo strumento per pensare sia fondamentale nella vita: la capacità di non accettare passivamente tutto quello che deriva dall’esterno è alla base della costruzione delle proprie consapevolezze e del cammino di autodeterminazione nella vita. Quello che intendiamo fare a YRDP è dare ai ragazzi uno strumento per poter prendere in mano la propria vita, le proprie scelte, il proprio futuro per poter migliorare le sorti del proprio Paese. Se io – un io ipotetico ma non troppo- imparo a non accettare “il sistema”, a chiedermi se quel che faccio o quel che gli altri fanno è giusto o sbagliato, mi metto anche a cercare strade alternative. E soprattutto questo risulta più efficace se poi lo faccio assieme ad altre persone che con me si pongono le stesse domande.

L’esempio più chiaro di tale intento, diciamo più concreto, deriva proprio dall’Unità nella quale lavoro all’interno di YRDP, che si occupa di trasparenza nelle attività estrattive. È un’Unità giovanissima, ma estremamente attiva, che potrebbe portare davvero a un “cambiamento” (…questo gran parolone che tutti noi idealisti e sognatori guardiamo come all’orizzonte… sì so che il cambiamento è connaturato in tutto, ma il cambiamento per puntare al meglio no ahimè). Anche noi tramite strumenti come training, forum e incontri (anche con esponenti del governo) vogliamo lavorare sui critical thinking skills. Soprattutto vogliamo spiegare ai ragazzi quello che la televisione, la radio e i giornali locali non dicono. Vogliamo parlare delle attività estrattive in Cambogia (petrolio, gas e in parte attività minerarie). E perché questo argomento? Perché è un banco di prova per la responsabilizzazione dei ragazzi perché prendano azione verso quello che è un argomento estremamente sensibile per il loro Paese oggigiorno.

La storia è questa. Da diversi anni, facciamo venti, la Cambogia ha scoperto di avere risorse petrolifere nel proprio sottosuolo. In parte, all’inizio, queste sono state nascoste agli occhi della società civile, soprattutto si consideri la forte instabilità del Paese fino alla metà/fine degli anni novanta. Da qualche anno, dal 2005 circa, invece, di questa risorsa si inizia a farne un gran parlare, anche se non tutti i cambogiani ne sono al corrente, anzi. La situazione è la seguente: ancora il petrolio non è stato estratto, ma si sa già chi lo farà, non disponendo la Cambogia di un’agenzia nazionale per il petrolio, né tanto meno di compagnie petrolifere. Il territorio dove finora la risorsa è stata trovata è stato suddiviso in vari blocchi (Figura 2), alcuni on-shore (terrestri, vicino al lago Tonlè Sap), alcuni off-shore (sull’acqua). C’è infine una terza porzione di blocchi, la cosiddetta Overlapping Claim Area, in acqua, al confine con la Thailandia e per questo ancora le competenze non sono state decise (uno dei motivi di “incomprensione” fra l’altro con l’ex Regno del Siam) e non si sa ancora chi dei due stati prenderà cosa. I restanti blocchi invece sono in mano a compagnie petrolifere come Chevron (USA), Total (Francia) e altri gruppi, cinesi, indonesiani.

 

 

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Figura 2. Distribuzione dei blocchi già in concessione alle compagnie petrolifere. Da Country for sale, Global Witness 2008 (si tratta di un rapporto di una ONG britannica. In Cambogia non è consentito diffonderlo. Ne ho una copia cartacea appartenente alla mia Unità, ma ha un bel marchio rosso che dice “confidential”).

La notizia importante è che dal 12 dicembre 2012 alle ore 12 si inizierà a pompare petrolio dal giacimento davanti a Sihanouk Ville, sulla costa. Impressionante questa puntualità. Peccato che: a tutt’oggi non sia ancora stato deciso come verranno amministrate le entrate che deriveranno dall’attività, esiste solo una bozza di legge, super segreta a tutti. Il timore di chi è a conoscenza  di certi meccanismi ( che cerchiamo di illustrare anche ai ragazzi che prendono parte alle nostre attività) è che tali risorse economiche possano finire nelle tasche sbagliate, considerata l’elevatissima corruzione che caratterizza la politica e ogni aspetto della vita di tutti i giorni in Cambogia. Si parla della possibilità di avere una Resource Blessing, ossia una vera benedizione da questo sfruttamento del territorio: finalmente la Cambogia potrebbe attingere alle proprie risorse economiche e in questo caso ingenti: secondo il FMI, si stimano cifre davvero consistenti, che in dieci anni potrebbero arrivare a quasi due miliardi di dollari all’anno, che per uno stato scarsamente popolato significherebbe un cambiamento drammatico!. Finora la Canbogia deve contare sugli aiuti umanitari che la sostengono, per poter garantire cibo, acqua, istruzione a chi non ne ha, tanto per cominciare. Ma si tenga a mente esempi già visti e ahimè noti come Nigeria, Sudan, Guinea Equatoriale, dove lo sfruttamento delle risorse è finito nelle mani di pochi e non ha portato a nessun arricchimento, a nessun miglioramento, anzi, ha allargato lo iato tra i più ricchi e i più poveri, che vivono in un paese dalle grandi ricchezze dei cui frutti non possono beneficiare. È il caso poi di moltissimi Paesi del Sud del mondo. Ed è proprio per evitare questa situazione, chiamata Resource Curse, ovvero la maledizione derivante dalla risorsa, che ci muoviamo, perché i ragazzi capiscano che le cose potrebbero non andare come ci si aspetta, che qualcun altro potrebbe portarsi a casa per il proprio arricchimento, quel che invece serve a tutti per uno sviluppo più equo.

Il problema non è così distante come forse può sembrare, non solo perché la scadenza del 12.12.12 è molto vicina, ma anche perché a monte dell’estrazione di petrolio c’è una fase piuttosto articolata che serve ad accertarsi dell’effettiva presenza del greggio, delle caratteristiche del serbatoio, di come intervenire per raggiungere il petrolio, se e come sgomberare l’area per poter proseguire con i lavori. E per fare tutto questo, le compagnie petrolifere hanno bisogno di concessioni dallo Stato ospitante e cioè devono pagare: dal 2005 circa, un più che discreto contributo in termini economici già è stato dato. Contributo di cui però non esiste traccia oppure solo un’ombra molto vaga nel bilancio di Stato. Si ritiene che in larga parte sia stati intascati da pochi Oknha, uomini d’affari molto capaci e affiliati al potere. E allora noi spingiamo sui ragazzi, sui ragazzi che studiano, che sono all’università (il cambogiano medio che vive nelle città ha accesso all’istruzione superiore) e che possono più facilmente accedere all’informazione, e quindi possono conoscere i propri diritti di cittadini e contribuire al cambiamento. Per questo nelle nostre attività di sensibilizzazione parliamo dell’Extractive Industry Transparency Initiative, o EITI, un protocollo internazionale che stabilisce doveri dello Stato e delle compagnie petrolifere al fine di garantire la trasparenza nella gestione delle entrate dalle attività estrattive: perché vogliamo che i giovani diventino cittadini consapevoli e attivi e scrivano lettere, petizioni, articoli su giornali, in internet per fare pressione sul Governo perché adotti questo protocollo. Non è impossibile. Di esempi virtuosi al mondo ce ne sono tanti, anche in Asia (Timor Est). P.s.: l’Italia è candidata a membro di EITI, non ha ancora appieno abbracciato la causa.

Il caso di YRDP non è poi così diverso da quello di molte altre ONG in Cambogia, per il fatto che lavora con i giovani “letterati”: ce ne sono molte e tra loro sono ben connesse in network che cercano insieme di fare pressione sul governo. C’è da dire comunque che tale “pressione” non è e non può essere così forte, anche perché il governo per l’appunto non ci metterebbe molto a far sparire chi è di troppo. E per questo motivo, tali organizzazioni puntano sul rinforzare i giovani e sul creare una cittadinanza attiva (fungiamo così noi da silenziosi “incoraggiatori”), perché se è la società civile a muoversi, pacificamente, il governo è costretto in qualche modo ad andarci piano.

La possibilità di manifestare non è contemplata, né dai cittadini, che temono eventuali disordini in città (memori delle varie rivoluzioni/liberazioni avvenute in passato, prima ad opera dei Khmer rossi nel ’75 e poi dei Vietnamiti nel ’79 tanto per cominciare), né tanto meno dal partito al potere (Cambodia’s People Party). Siccome però ogni tanto qualcuno organizza qualche striscione, qualche scritta indirizzata al primo ministro, è stata predisposta ad hoc una piazza, con un nome che è quasi un paradosso, Freedom Square, piazza della libertà. Una legge apposita stabilisce che in quella piazza, solo e soltanto, possono svolgersi manifestazioni con un numero massimo di 200 partecipanti.

È forse questo un controllo troppo forte sulla popolazione? Sarebbe giusto che la popolazione potesse partecipare liberamente a cortei e manifestazioni, per esprimere il dissenso verso scelte molto discutibili da parte del regio governo, ad esempio verso un’impropria gestione delle tasse? Potrebbe servire manifestare per far sentire la propria voce? Domanda annosa quest’ultima… certo comunque i Cambogiani sembrano generalmente accettare quel che viene loro in sorte. Sarà perché tanti sono disinteressati alla politica (per paura di “schierarsi”). Sarà perché ne hanno viste tante in passato che tutto quel che succede ora non è così preoccupante. Sarà che siamo in Asia e qui la gente parte da quel che di positivo c’è in ogni situazione, trovando così la forza di sorridere.. e sarà anche che spero di portarmela a casa questa forza!

 

QUI SOTTO LA SECONDA COMUNICAZIONE DI GINEVRA

 

Ecco un altro prezioso contributo-testimonianza di Ginevra Boatto, giovane padovana, volontaria in Cambogia, che ci regalerà notizie per descriverci i principali aspetti di quel lontano paese e la sua cronaca del suo vivere a Phnom Penh parte da una terribile disgrazia. Una ragazza in gamba, legata da amicizie a Portoferraio e l'Elba e da oggi impegnata anche col Circolo Pertini, che agisce, con spirito di servizio libero, per dare informazioni utili alla conoscenza.

ginevra

Ginevra, la nostra testimone in Cambogia

Ginevra così si è descritta, anche con un po' d'ironia: 


" Ciao a tutti, sono laureata in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali (cioè chimica, fisica, petrografia, biologia e storia dell'arte, archeologia): mi sono occupata di diagnostica per la conservazione e il restauro. Poi però ho conseguito il dottorato alla facoltà di ingegneria, nell'ambito del reverse engineering (ricostruzione virtuale 3D) dei beni culturali, in particolare di reperti antropologici. 

Dopo anni e anni immersa nelle nebbie della Val Padana, tra polverosi laboratori e restrittive regole alla vita notturna, ho lasciato la terra natìa per trasferirmi (momentaneamente) nella perla del sud est asiatico. un'esperienza di vita unica, un bagno nelle acque della pazienza, della spiritualità e dell'accoglienza, tra riso ragni e speculazioni sul senso della vita; ma un legame speciale con l'Elba mi riporterà in Italia a primavera". 


24.12.2010

 

MESSAGGIO DI GINEVRA DA PHNOM PENH



Ginevra ci narra flash di vita cambogiana quotidiana ed emerge una città frenetica, alle prese con smog da grande traffico stradale, mercati dove se ne vedono e se ne sentono di tutti i colori e odori. Situazioni non facili, ma in mezzo a tale caos spicca anche una forza incredibile della gente del luogo, che lavora tantissimo per poter sopravvivere e riesce anche ad essere apparentemente sempre di buon umore e cordiale.



LA CITTÀ CAOTICA INVASA DA MOTORINI E SMOG

E' quasi Natale si.. ma in una nazione buddista come la Cambogia, difficilmente se ne sente l'atmosfera.

Mi trovo a Phnom Penh, la capitale, tra Thailandia, Laos e Vietnam. Strano che nei secoli scorsi questa città sia stata chiamata “La perla del sudest asiatico”, mi sembra così stridente questa definizione, se penso alla giungla di traffico e di inquinamento che attraverso ogni giorno, quando torno dal lavoro o vado a fare una passeggiata per le strade più importanti della città, per i vicoli ( che sono tutta una buca nell’asfalto). Un giungla fatta di mille, diecimila, un milione di motorini, nelle condizioni più disparate possibili: incidentati, rotti, rumorosi che sputano fuori nero, grigio, cachi... verde (no questo no) ..e alla guida giovani e meno giovani (niente anziani però).



moto

gruppo di famiglia su motorino

http://litscapeart.com

Molti indossano mascherine antismog, generalmente nei colori fashion, verdino, rosina, azzurrino, ma che a fine giornata, chissà come, il vento mi fa arrivare lo smog sulla porta di casa e vi assicuro che il colore è fumo di Londra.. non bastasse sui motorini ci stanno pure un numero N di persone ,oltre al conducente, con N numero intero compreso tra 1 e 4.. per ora, al massimo ho visto 5 persone su un motorino. Badate che non sto parlando di tandem a motore, ma di 'boosterini' ! In genere, i bimbi piccini stanno davanti, in piedi, con la bocca appoggiata al manubrio, col labbro superiore tipicamente adagiato al conta chilometri, oppure l’alternativa stanno schiacciati tra il babbo alla guida, la mamma e la sorella (solitamente in pigiama) dietro e un sacco d’altra roba di dimensioni importanti e che rende l’equilibrio del mezzo altamente instabile.

Ma niente è travolgente asfittico e claustrofobico come la giungla del traffico della città. Anche la strada più piccola e dimenticata, è teatro di lotta per la sopravvivenza tra i motorini (si muovono generalmente a branchi, evidentemente per contribuire forzatamente all’aumento dell’entropia nel pianeta). Poi i venditori ambulanti, dispensatori a tutte le ore di cibo di diverse fattezze, di gusto talvolta dubbio, di altrettanto indefinito prezzo, ma comunque sempre “special” per noi stranieri e poi tanti Suv. In questa giungla chi fa la parte del leone se non il Suv??



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                               Suv a altri mezzi leggeri di trasporto (foto Ginevra)

 

 

IL MERCATO COPERTO: UN MIX INCREDIBILE DI ODORI E .....

Ci sono esperienze bellissime invece che vale la pena di vivere in città. Prima tra tutte il mercato, altrettanto claustrofobico e intricato. Che poi non è un mercato, non dico “vado al mercato”, perché a Phnom Penh non c’è un mercato, ce ne sono tanti, e sono grandi e vari.

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Un mercato coperto di Phnom Penh

da www.viaggiaresempre.it/

C’è gente d’ogni sorta che vende di tutto, ci sono scene indimenticabili ogni volta alle quali assisto, consapevole che è sempre una festa dei sensi, o per qualcuno è un funerale dei sensi… Al mercato russo (o Russian Market o Tuol Tompong, si chiama così perché fu meta, negli anni ottanta, di turisti russi) tutto o quasi si svolge al coperto. Come si fa a concepire un mercato al chiuso, quando già fuori ci sono 40 gradi?? All’interno, passeggiando tra le strette stradine del mercato, si muore di caldo, non ci sono finestre, l'umidità è alle stelle, ma c’è soprattutto una commistione, un incidente fortunatamente non mortale, di odori forti e fortissimi buoni e cattivi che non possono non stordire, non disgustare, non incantare, non nauseare… soprattutto perché sono odori che si vedono, sotto i nostri occhi. Ogni giorno si compiono omicidi di animali, diversamente consapevoli, dalle fattezze più’ diverse, polli serpenti, vermi, pesci, insetti, fagiani. Gli tagliano la gola donne sedute in ginocchio (una strana posizione cambogiana a dirla tutta) sul bancone di ferro del mercato, un’orgia di sangue che esce e che viene asciugata con straccetti intrisi di unto, di sporco, di sangue già vecchio, con il quale la signora pulisce anche quello che ti vende.....




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il motorino fa anche da scrivania (foto Ginevra)

FILOSOFIA CAMBOGIANA ..IMPOSSIBILE PENSARE AL DOMANI

Qua la vita si vive giorno per giorno, si dà grande valore all’attimo, non c’è l’assillo del domani, dell’agenda. A volte è liberatorio, mentre altre volte è uno sforzo intellettivo e fisico che devo fare, ma so che potrebbe essere anche una “cura” per quando sarò tornata in Italia... Vivendo giorno per giorno i problemi si affrontano momento per momento, non ha senso andare a preoccuparsi per ciò che ancora non c’è… il domani… il cambogiano medio vive in questa consapevolezza e altro non può, soprattutto quando è costretto a fare 2 o 3 lavori per arrivare a guadagnare 120 dollari al mese, utili a mantenere la famiglia e soprattutto a dare l’educazione ai figli. Una vera piaga, una vergogna, lo Stato non dà tutti gli insegnamenti: ad esempio l’inglese e le famiglie devono mandare a scuola privata i figli, spendendo anche 2.5 dollari al giorno.



Se si pensa che metà Cambogia è foresta, la maggior parte di ciò che rimane è dedito alla coltura del riso, dove però i lavoratori non sono impiegati per tutto l’anno, così nella stagione vuota vengono a lavorare in città, dormendo magari per strada, in una amaca, vendendo noci di cocco dalle 6 della mattina alle 6 della sera (i cambogiani si svegliano anche alle 4.30-5 e vanno a letto molto presto. Essendo vicini all’Equatore il tramonto dura pochi istanti e subito fa buio. Ma sempre mi stupiscono questi cambogiani.. in qualsiasi situazione si trovino, non mancano mai di fare un sorriso, di salutare per strada e chiederti dove stai andando.

Buone Feste a tutti Ginevra

bimbo

                                Il sorriso , il segreto della forza dei cambogiani

                                                      (foto Ginevra)

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IL PRIMO SERVIZIO DI GINEVRA

E PRIMA QUALCHE BREVE NOTIZIA SULLA CAMBOGIA

DA WIKIPEDIA

 

Cambogia
Cambogia – Bandiera Stemma Cambogia
   
 
Stemma Cambogia
Dati amministrativi
Nome completo Regno della Cambogia
Nome ufficiale
Preăh Réachéanachâkr Kâmpŭchea
Lingue ufficiali khmer
Capitale Phnom Penh (2.009.264 ab. / maggio 2009)
Politica
Forma di governo Monarchia parlamentare
Capo di Stato re Norodom Sihamoni
Capo di Governo Hun Sen
Indipendenza dalla Francia, 9 novembre 1953
Ingresso nell'ONU 14 dicembre 1955
Superficie
Totale 181,035 km² (96º)
 % delle acque 2,5 %
Popolazione
Totale 14.494.293ab. (stima 2009) (66º)
Densità 74 ab./km²

Il Regno di Cambogia, In seguito alla caduta del prospero Impero khmer, subì per secoli l'influenza politico-militare dei paesi limitrofi, per poi diventare un protettorato francese nel 1863. Ottenuta l'indipendenza nel 1953, la Cambogia attraversò un periodo di instabilità e guerre con il coinvolgimento nel conflitto vietnamita, il colpo di stato di Lon Nol, il regime di terrore degli Khmer Rossi e l'invasione vietnamita. A seguito delle elezioni del 1993, tenute sotto l'egida dell'ONU, è stata promulgata una nuova Costituzione: la Cambogia è attualmente una monarchia parlamentare indipendente basata su un sistema democraticomultipartito.

Diario di un’insider a Phnom Penh

 

Salve a tutti, sono Ginevra, ho 28 anni. Sto svolgendo un periodo di 6 mesi di volontariato a Phnom Penh, in Cambogia, nel cuore del Sud-est asiatico, presso una ONG locale che si occupa di trasparenza nelle attività estrattive nel Paese (petrolio, gas e attività minerarie).

Mi trovo di fronte la possibilità di lavorare in un contesto completamente diverso culturalmente dal nostro e questo è motivo per una continua messa in gioco e scoperta dell’altro, delle differenze e delle somiglianze con le quali tutti i giorni ci si trova a fare i conti. Soprattutto, il fatto di trovarsi all’estero, così “distanti” dal nostro confortante confine europeo, dà l’occasione di poter osservare dall’interno situazioni che altrimenti non sarei mai in grado di interpretare, riguardanti la situazione politico-economica, il contesto sociale.

 

L’occasione per far emergere alcune considerazioni è ahimè stata offerta da un recente fatto, per la Cambogia più propriamente definibile una tragedia, ossia la morte di più di 300 persone in occasione delle celebrazioni del Water Festival a Phnom Penh.

 

                               Tragedia al Water Festival di Phnom Penh.

 

calca2010-11-30calca

la terribile calca assassina (da www.cam111.com)

 

Il Water Festival è una festa che si svolge ogni anno in Cambogia in questo periodo da circa 800 anni per celebrare la fine delle stagione delle piogge. A Phnom Penh in questa occasione viene organizzata una folkloristica gara tra barche sul fiume Tonlè Sap (che nella stagione secca diventa immissario del Mekong), evento che attira in città milioni e milioni di persone da tutta la nazione. La gente che vi partecipa e che si ammassa sulla riva del fiume è prevalentemente di fuori Phnom Penh, dalle varie province della Cambogia, mentre gli abitanti della capitale seguono la gara comodamente seduti in poltrona a casa, guardando la tivù. Il giorno dopo, la città, le rive del fiume sono una distesa di immondizie di tutti i generi, ma posso immaginare con segreto piacere anche la gioia, l’entusiasmo, la foga con cui finalmente una volta all’anno i Cambogiani si permettono di fare festa, di fare tardi e magari di non svegliarsi all’alba l’indomani. Anche per loro forse vale il detto “Semel in anno licet insanire”.

 

Invece quest’anno qualcosa, il 22 novembre scorso, è andato storto anche se ancora non è stato capito con certezza la causa scatenante la disgrazia. Verrebbe da dire, se fosse una manifestazione, un corteo, che c’è scappato il morto. Purtroppo invece di morti ce ne sono scappati anche troppi. Negli anni scorsi qualche vogatore c’aveva rimesso le penne, annegato nelle apparentemente placide acque del Tonlè Sap. Cosa è cambiato a Phnom Penh dagli anni scorsi?

 

Sono rientrata dalla mia visita nella provincia di Preah Vihear, lungo il confine settentrionale con la Thailandia, solo martedì pomeriggio, il 23. Nel viaggio di ritorno in autobus, appena la copertura della compagnia telefonica me l’ha concesso, ho iniziato a ricevere messaggi di amici cambogiani, allarmati, temevano per la mia incolumità, ignari del fatto che ero fuori città, allora ho iniziato a focalizzare cosa era successo. A mia volta ho chiamato un po’ di amici che invece in città c’erano rimasti appositamente per vedere il water festival, iniziando così a raccogliere informazioni. Infine, ho discusso con un ragazzo cambogiano seduto vicino a me nell’autobus che aveva da poco letto le notizie on-line. Appena a casa, ho chiamato subito un amico fotografo italiano che in questi giorni è qui operativo a PP (Phonom Penh) . Era in ospedale, a raccogliere foto e testimonianze. Raccontava stordito di file e file di cadaveri, imbustati, ordinatamente numerati, lungo i corridoi. Dice che ci sparavano dentro qualche liquido, una qualche sostanza che rallenta la decomposizione dei corpi… quasi tutti erano cambogiani delle province, i loro corpi devono essere messi in una bara e spediti a casa.

Ho inforcato la bicicletta e sono corsa al ponte dove la tragedia si è consumata. Era inavvicinabile. L’accesso con l’auto era interdetto, consentito solo a chi è ospite del mega complesso Nagaworld, hotel di superlusso con vista sul Tonlè Sap. Ma un gran numero di persone continuava a passare per avvicinarsi il più possibile al ponte, per capire, per dare un ultimo saluto. C’era ancora grande sporcizia, immondizie ovunque. Al ponte, uno dei due che collegano PP con la recente isola artificiale Diamond Island (Koh Pich per i cambogiani).

 

 

 

ponte sporco2010-11-30ponte e sporcizia

                                              il ponte della disgrazia  il giorno dopo

Altre barricate, non ci si poteva avvicinare oltre i venti metri di distanza. Dalle barricate si vedono corone di fiori, incenso che brucia e ancora altre immondizie, ammassate a vestiti, a scarpe, lasciati dalla grande massa soffocante che lì si riversava per poter vedere il passaggio delle barche. Dalla riva, militari, occupati a tenere la gente distante, tanti cambogiani, in osservazione, muta, a guardare e basta. Qualcuno gesticola e spiega cos’è successo a qualcun altro, incredulo, sperduto.

 

gente2010-11-30gente

                                                                la gente sbigottita

 

 

Anche se ufficialmente la causa di una tale tragedia ancora non è stata spiegata, è facile invece individuare qualcosa di fuori posto.

 

Il ponte su cui si è consumato il tutto è stato costruito nell’ultimo anno e collega per l’appunto la città a Diamond Island, un’isola che è gestita interamente a livello privato. Un’incredibile parco giochi, pieno di negozi di giostre di edifici nuovi dall’aspetto così artificiale, che quasi pare la Villa Adriana, con colonnati e grandi fontane. Ma non è un ponte maestoso (diversamente dall’altro invece di collegamento all’isola), è un ponte su cui ci si passa in 4 moto al massimo. L’hanno costruito poco tempo fa, lo usano, bici e moto e basta fondamentalmente. Fatto sta che lunedì sera erano in migliaia su quel ponte, a sgomitare per vedere le barche passare. “È un ponte fantastico”, mi spiegano i miei colleghi a lavoro, ha un certo fascino per chi viene dalle campagne o dalla foresta, è un ponte che rappresenta il nuovo, l’opportunità, ancora, il nuovo.

Fino all’anno scorso, chi si accalcava sulle sponde del fiume, aveva modo comunque di prender una boccata d’aria, la via di fuga c’era, dato che alle proprie spalle c’era tutta la città aperta nei suoi viali. È stato calcolato che su quel ponte lunedì notte c’erano 10-11 persone per ogni metro quadro. Un “sopravvissuto”, che è riuscito a sottrarsi per tempo al massacro e lavora con alcuni di noi volontari, racconta che la gente era così tanto attaccata e stretta che era difficile percepire quando finiva una persona e quando ne iniziava un’altra. Ha ancora forti dolori mentre respira, ma è vivo, questo basta. Anche lui, come tanti altri, che hanno lasciato testimonianze a caldo ai giornali locali, racconta di un fuggi fuggi, di qualcosa che ha spaventato a morte chi stava sul ponte e che ha messo in fuga tutti.

A distanza di ormai 7 giorni non è ancora stato identificato cosa sia stato a far scappare tutti, cosa abbia seminato il panico tra le persone. Da cosa fuggivano? Qui le interpretazioni sono estremamente varie. I superstiti non sono forse completamente affidabili da questo punto di vista. Sul Phnom Penh Post, stampa locale in lingua inglese (la fonte della CNN), viene riportato che la polizia avrebbe usato dei cannoni ad acqua per disperdere la folla, ma con le luci penzolanti del ponte ci sarebbe così stata una ondata di scariche elettriche che ha fulminato i presenti. Allora così si sarebbe spiegato il fuggi fuggi (cosiddetto “stampede”) per scappare, ma la massa delle persone che spingevano per arrivare al ponte era tale che ha schiacciato chi tentava di mettersi in salvo. Alcuni si sono gettati in acqua, forse sono sopravvissuti? L’acqua è bassissima in questo periodo. Altri avrebbero cercato invece di arrampicarsi sui tiranti del ponte. Qualcun altro invece descrive scene simili a quelle dell’ultima tragica love parade. Parrebbe che sia stato chiuso il gate da una parte del ponte, così la gente che continuava ad entrare dall’altra parte avrebbe schiacciato chi già stava sul ponte, a ridosso del cancello. Altri infine raccontano di aver sentito il ponte crollare sotto i loro piedi. Ma il ponte sta ancora lì. Chi è stato all’ospedale ha visto tanti, tanti corpi schiacciati, ma non ha visto morti fulminati. La polizia d’altro canto si è limitata a negare l’utilizzo di cannoni ad acqua. Ma a questo punto la stessa polizia accusa la sicurezza privata dell’isola di essere ricorsa a metodi di dispersione della folla che hanno fatto degenerare la situazione: questa ha replicato di non avere il poter di far applicare la legge quindi non avrebbe mai potuto agire così.

Il primo ministro Hun Sen ha nominato una commissione apposita per capire la natura dell’incidente, all’interno di un video nel cuore della notte di lunedì, annunciando anche per il 25 novembre una giornata di lutto nazionale.

 

Un elemento che mi ha colpito positivamente in questa storia è stata la prontezza cambogiana: 700 persone tra defunti e feriti sono state divise tra 5 ospedali in città che sono stati al lavoro a pieno regime e con una organizzazione davvero avanzata. Il governo stanzierà circa 1200 dollari per la famiglia di ogni vittima, inoltre si occuperà del rimpatrio delle salme. Anche organizzazioni internazionali (Oxfam, Caritas, Care, Save the Children in prima linea) contribuiranno provvedendo al vitto dei feriti negli ospedali e delle famiglie dei defunti, che al momento devono svolgere il compito del riconoscimento delle salme. Infine anche il partito dell’opposizione Sam Rainsy Party partecipa agli aiuti nonché un altro grande donor della Cambogia, immancabile anche questa volta, la Cina.

 

Durante la visita al ponte, ho ricevuto un messaggio dal mio gestore telefonico, con un drammatico messaggio. Semplice. Ma forte. Diceva: “Se non riesci a contattare i tuoi parenti dopo la tragedia, chiama questo numero…”. L’ho letto e ho capito che è tutto reale.

 

telefono2010-11-30telefono 

                                                  il messaggio nel cell di Ginevra


 

La vita a PP continua, con amarezza, ma forse anche con rassegnazione. Per le strade, ieri sera, ovunque bruciano incensi, impiantati nelle banane, assieme ad altre offerte di cibo, per salutare gli spiriti dei fratelli, morti così improvvisamente e in tanto grande numero. Il rispetto per gli spiriti è molto sentito qui, tanto che alcuni amici cambogiani non hanno voluto dormire soli e ci hanno chiesto ospitalità per timore degli spiriti a giro per la città.

 

incenso2010-11-30incenso

                                                         i vasetti con l'incenso

 

 

Oggi, a distanza di una settimana, ho partecipato a una round discussion sul tema dell’istruzione, un confronto tra Italia e Cambogia, e ancora è emerso il tema del Water Festival, ancora una volta ragazzi cambogiani ci hanno chiesto “cosa ne pensate di quello che è successo?”. Ogni volta mi sento impreparatissima a rispondere. Mi limito ad esprimere il mio dispiacere per l’accaduto, non ho altro da aggiungere, ma già altre volte mi è successo di sentire controrisposte come “Non ci voleva, abbiamo avuto il regime di Pol Pot.. pensavamo che questo fosse sufficiente…” Ancora una volta tante persone in Cambogia hanno avuto i loro morti in famiglia, tanti a PP dicono “eh sì ho perso un cugino un amico, c’ero ma sono scampato in tempo” mi chiedo se ci sarà la possibilità di avere giustizia, se verranno puniti i responsabili. Oppure forse è solo colpa di un nuovo spazio angusto che ha determinato in maniera inevitabile la tragedia. Inevitabile?

 

ATTENDIAMO QUINDI IL PROSSIMO REPORT DI GINEVRA E VEDEREMO QUALI INFORMAZIONI CI FORNIRA'.

INTANTO LA RINGRAZIAMO PER LE SUE COMUNICAZIONI, UNA VOLOTARIA IN CAMBOGIA, VOLONTARIA ANCHE NEL DARE AL CIRCOLO PERTINI E A TUTTI I VISITATORI DEL SITO QUESTA IMPORTANTE CHANCE.

CIRCOLO CULTURALE SANDRO PERTINI dell’isola d’Elba Presidente onoraria Diomira Pertini

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