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Il ricordo dei morti dello Sgarallino a 71 anni dalla disgrazia

Scritto da Stefano Bramanti Martedì, 23 Settembre 2014 09:15

Un mazzo di fiori gettati in mare dallo studente Tommaso Alberti, insieme al sindaco di Portoferraio Mario Ferrari, mentre si trovavano su una motovedetta della Capitaneria di Porto, al centro del porto. Nello stesso istante, sul molo galleggiante della Marina, nei pressi della Linguella, i bimbi delle elementari di San Rocco,

 

TIRELLI

con i loro docenti, accompagnati da Adolfo Tirelli presidente dell'Anfi, lanciavano anche loro tra le onde dei fiori. Un momento commovente nell'ambito della commemorazione dei deceduti, circa 300, nel tragico affondamento del piroscafo Sgarallino.
Il terribile evento accadde il 22 settembre 1943. Un sommergibile inglese avvistò la nave verso Nisporto. Trasportava solo civili, ma la scambiò per una nave militare e dei siluri assassini la fecero colare a picco.
Oltre al primo cittadino, presente il vicesindaco Roberto Marini, l'assessore alle politiche sociali Alberto Bertucci

 

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e altri, poi autorità militari della Capitaneria di Porto e le Forze dell'ordine, quindi i rappresentanti delle associazioni degli ex combattenti e, importante, la presenza dei ragazzi della scuola superiore Cerboni, oltre le elementari.
A suonare il silenzio con la sua tromba, Manrico Bacigalupi, direttore della Filarmonica Pietri, poi i fischi di congedo suonati dal nipote del maestro, il maresciallo maggiore della Marina Leonello Barbacci.
Presenti anche diversi cittadini, tutti ad onorare i caduti in quella disgrazia, frutto della follia della guerra.

 

 

Foto: Bramanti e Ballerini(DA ELBAREPORT)

 

  • Le bombe su Portoferraio nel racconto di Castells

PORTOFERRAIO. Sono passati 71 anni dal giorno più lungo di Portoferraio. Ma il ricordo vissuto in prima persona dal portoferraiese Mario Castells è indelebile, avvalorato dalle conferme di Mariagrazia Vona.

 
       
 
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PORTOFERRAIO. Sono passati 71 anni dal giorno più lungo di Portoferraio, il 16.9.1943. Ma il ricordo vissuto in prima persona dal portoferraiese Mario Castells è indelebile, avvalorato dalle conferme di Mariagrazia Vona.

Castells ha vissuto direttamente quell’orrendo giovedì, quando sulle 11 e 15 grappoli di bombe caddero sulla città lanciate da 7 Stuka tedeschi, insieme ai manifestini che “suggerivano” la resa incondizionata. Vona invece riporta la memoria di suo padre Rodolfo, della Marina Militare, segretario di Giuseppe Massimo, comandante del porto di allora.

«L’infausto mattino del 16 ero in Marina – ricorda Castells classe 1917– scesi dal comando Dicat del Falcone, che coordinava le varie batterie antiaeree dell’Enfola, Capo Bianco, Le Grotte, Falconaia e altre. Il comandante Massimo mi aveva chiesto di censire chi era disposto ad opporsi ai tedeschi dopo l'8 settembre e di avvertire del grave pericolo la popolazione. Bisognava che tutti si allontanassero dal centro storico. Ma dominava il caos. La situazione precipitò e fu morte e distruzione sotto le bombe assassine». In mezzo a cadaveri e rovine Castells e altri corsero a togliere dalle macerie persone ferite. Quanti furono i morti? Duecento, trecento? Difficile precisarlo. C'erano diversi forestieri e alcuni cadaveri scomparvero per sempre nel profondo del mare. «Fu quindi il si salvi chi può – prosegue Castells – e raggiunsi Massimo al porto, mi dette viveri e una tenda e in barca raggiunsi la spiaggia dei Mangani, dove giorni dopo incontrai di nuovo il comandante. Si era rifugiato anche lui da quelle parti». E la figlia di Vona narra: «Mio padre distrusse tutti i documenti identificativi dei militari per evitarne l'identificazione e la deportazione nei lager. Poi prese due impermeabili per nascondere le divise e col comandante Massimo, dopo averlo convinto a fuggire, si spinsero in una barca a motore e inseguiti dalle mitragliate tedesche raggiunsero una villa di una insenatura lontana. Giorni dopo mio padre agevolò la fuga di Massimo per il continente, aiutato da un pescatore. L'ufficiale però fu poi catturato a Firenze, deportato e ucciso. Mio padre rimase alla macchia all'Elba e poi riuscì a unirsi alla 52esima brigata partigiana a Dongo con il nome di Varo».

Stefano Bramanti

CIRCOLO CULTURALE SANDRO PERTINI dell’isola d’Elba Presidente onoraria Diomira Pertini

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