La recente scomparsa di Adorno Picchi (93 anni) socio fondatore del circolo Pertini, ha colpito tutta la zona livornese e l'isola. Un uomo di valore se ne è andato lasciando tracce indelebili. Il 25 aprile scorso, grazie a lui, la nostra associazione aveva potuto vincere il premio Terzani, con un racconto che ricostruiva le sue vicende isolane del 1943, quando avviò la sua esperienza partigiana e sposò Zevia, la sua ragazza di La PIla.
Ecco un articolo apparso su Il Tirreno che riporta una parte del racconto che Adorno ci narrò.
All'Elba, pur di vedere la mia Zevia, ho sfidato le truppe nazifasciste che massacravano gli italiani
Adorno Picchi nel 1943 a Procchio e Picchi nell'età matura
da il tirreno
LIVORNO. Di seguito pubblichiamo uno stralcio dell'esperienza di Adorno Picchi all'Elba durante la Seconda Guerra mondiale. La storia, raccontata al Circolo Culturale Pertini dell'Isola d'Elba, è stata premiata al Premio Nazionale Terzani Anpi Lastra a Signa in occasione dei 150 anni dell'Unità. La parte che pubblichiamo è relativa all'incontro con la futura moglie Zevia e poi alla fuga per scappare dai nazifascisti.
"Agosto ormai era agli sgoccioli e gli incontri con la mia Zevia, si erano diradati. La conobbi vicino a Procchio, passava in bicicletta e me ne innamorai a prima vista. Io ero in servizio militare alla batteria di quel paese; il comando germanico si apprestava a tentare la conquista dell'Arcipelago e dell'Elba in particolare, per poi conquistare la costa Toscana e quindi la difesa dell'isola richiedeva un servizio sulla costa più serrato, in particolare dopo lo storico 8 settembre 1943. Il generale Badoglio firmò l'armistizio e fuggì con il re a Brindisi. I tedeschi attuarono immediatamente il piano già predisposto per l'occupazione della penisola e i soldati italiani che rifiutavano di arrendersi erano massacrati. Una pagina di storia assai dolorosa per l'Italia....... Io scelsi di non arrendermi al nemico. Dopo quel fatidico 10 settembre, dovendomi nascondere nei boschi persi i contatti regolari con Zevia. Ma non rinunciammo a qualche incontro seppure fossero molto pericolosi per entrambi. Fu un periodo di continui spostamenti, di fortissimi disagi, anche se, contrariamente a molti nelle mie stesse condizioni, potevo contare sui familiari della mia fidanzata, i quali, a loro rischio e pericolo, organizzavano il mio approvvigionamento, riuscendo a farmi pervenire da mangiare e da vestire, con mille stratagemmi, per evitare i controlli di nazifascisti. Era prudente che rimanessi a lungo da solo nella macchia, ma alcune volte mi incontravo con un elbano, Vinterle Segnini, che, come me, condivideva quella vita da animale braccato dalle ispezioni. Era, comunque, troppo pericoloso per tutti, bastava una spiata per finire nelle mani naziste, nessuno escluso. I rastrellamenti erano continui. Passavano le settimane e i primi di novembre decisi che prima che fosse troppo tardi, era opportuno lasciare l'isola, ma c'era una "pratica" da sbrigare: c'era da sposare Zevia. Lei aveva già da allora una forte personalità; pur giovanissima, e nonostante i tentativi dei suoi genitori di farle cambiare idea, decise di seguirmi e di acconsentire alle nozze. E fu così che in accordo con il parroco di Marina di Campo, (lei abitava a La Pila) e grazie alla copertura del Maresciallo dei Carabinieri del paese, istituzionalmente comandato alla mia cattura, alla presenza di due testimoni "affidabili", Ezio Dini e il segretario comunale o comandante del dazio, non ricordo bene, Zevia ed io ci sposammo il 27 novembre, alle 18, nella chiesa di S.Gaetano a Marina di Campo. Il 13 dicembre 1943, grazie alla complicità, o per meglio dire alla solidarietà, del finanziere Pozzi, incaricato di ispezionare, insieme ad un militare tedesco, merci e passeggeri delle imbarcazioni nel piccolo porto di Marciana Marina, approfittando del premeditato allontanamento dei due militari di ronda, riuscimmo a fuggire via mare. Aiutai Zevia a saltare su di una barca carica di botti di vino, ormeggiata nel porto, che sapevo già ispezionata, che aveva come destinazione il porto di Piombino. Tutto filò liscio, anche se passammo ora di trepidazione, e raggiungemmo il "continente". Raggiunto Tremoleto, lasciai la mia giovanissima moglie in compagnia di mia nonna e continuai la clandestinità per la lotta partigiana, che era iniziata all'Elba".