ROMANO FIGAIA

 

PUBBLICHIAMO IL LAVORO DEL NOSTRO SOCIO DEL DIRETTIVO DEL CIRCOLO PERTINI, CHE INTENDE, CON SPIRITO DI SERVIZIO PUBBLICO,  FAR LUCE SULLE TESI RIGUARDANTI IL FUTURO REFERENDUM TANTO ATTESO, CHE POTREBBE PORTARE A MODIFICHE DELLA COSTITUZIONE

 

TALE DOCUMENTO POTRA' SERVIRE COME STRUMENTO DI BASE PER LA REALIZZAIONE DI INCONTRI DI APPROFONDIMENTO, ANCHE PUBBLICI DA ATTUARSI PER L'ISOLA D'ELBA, ANCHE NELLE SCUOLE SUPERIORI,  E PER QUESTO L'AVVOCATO FIGAIA E' STATO DELEGATO DAL DIRETTIVO DI AGIRE IN TAL SENSO, PER ATTUARE TALI INCONTRI.

 

GRADITE RIFLESSIONI COSTRUTTIVE SU TALE RELAZIONE CHE FIGAIA HA STESO COL CONTRIBUTO DI LAURA CAVALIERI, GIORNALISTA.

 

LA CONSULTAZIONE REFERENDARIA PER LA CONFERMA DELLE MODIFICHE COSTITUZIONALI

Prefazione

In ordine al referendum confermativo delle modifiche alla Carta Costituzionale, recentemente approvate dal Parlamento, si rende opportuno, a giudizio degli esponenti, effettuare un excursus storico sulle vicende che hanno portato alla caduta del regime fascista e alla scrittura della nuova Carta Costituzionale, che ha sostituito il desueto Statuto Albertino.

È doveroso ricordare, a nome dell'Associazione Culturale Sandro Pertini dell'Isola d'Elba, la sua figura, tra le più significative tra coloro che hanno contribuito all'affermazione dei nuovi principi della Carta stessa.

La nostra Associazione lo ha celebrato degnamente con la pubblicazione del libro “Portoferraio 1933, processo a Sandro Pertini”, relativo alle vicende giudiziarie che lo coinvolsero durante la permanenza nel carcere di Pianosa dal 1931 al 1935.

Leggiamo nell'introduzione di Vico Faggi al libro di Pertini “Sei condanne e due evasioni”:

...Dal materiale raccolto, ci sembra che scaturisca al di là delle esperienze personali di Pertini, una significativa immagine della vita italiana tra il 1925 e il 1945, vogliamo dire della vita non ufficiale, di quella che non appariva alla luce delle cronache, che non si leggeva sui giornali o che non si vedeva sugli schermi cinematografici. È soprattutto la vita di una piccola minoranza che, respingendo l'egemonia monarco/fascista, non si limitò ad un silenzioso rifiuto, ma scelse la lotta aperta, il rischio, scelse di pagare di persona per riaffermare la legittimità di una concezione politica diversa, opposta e di una diversa classe dirigente.

Pertini avvertì l'esigenza che il personale politico antifascista facesse sentire nel Paese la sua voce, testimoniasse la sua presenza, contrastasse cioè l'egemonia del coacervo degli interessi che si era stretto intorno a Mussolini; sentì quindi con particolare urgenza la necessità nell'azione, in ciò simile ai fratelli Rosselli, a Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Giovanni Amendola, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, alcuni di questi pagarono di persona con la propria vita...”.

Prosegue ancora il Faggi: ” ...Tutti i giovani che parteciparono alla Resistenza armata che si sviluppò dopo la caduta del fascismo a seguito delle vicende dell'8 settembre 1943, sentirono più o meno chiaramente di dover pagare un debito di riconoscenza, un debito che il paese aveva verso gli uomini della Resistenza disarmata; quelli che in carcere, al confino, avevano vissuto la loro opposizione al nazi/fascismo.

Grazie a loro, che ne avevano giustificato l'insorgere, la Resistenza armata, quella che iniziò l'8 settembre 1943, poté legittimamente affermarsi.

Verso i perseguitati dal fascismo, i vivi, i morti, avvertivano un debito di riconoscenza per il loro sacrificio e per quello che il loro sacrificio aveva insegnato.

Essi che erano incolpevoli, avevano espiato le colpe e gli errori della classe dirigente pre-fascista e, con il loro coraggio, avevano riscattato le debolezze di un popolo che aveva smarrito, sotto la minaccia del bastone e l'incalzare di una propaganda a senso unico, il significato della verità e dell'impegno civile. Sandro Pertini, che per vent'anni era stato protagonista della Resistenza disarmata, volle partecipare alla Resistenza armata e fu nel centro della lotta, nella posizione più esposta, rappresentando degnamente la continuità e la coerenza dell'opposizione al fascismo”.

La lotta al nazi/fascismo iniziata l'8 settembre 1943 a seguito dell'armistizio concluso dal Governo Badoglio con le truppe anglo-americane, si concluse nella data storica del 25 aprile 1945 con l'annuncio di Sandro Pertini dalla piazza del Duomo di Milano della Liberazione dell'intero territorio nazionale dall'oppressione del regime nazi/fascista.

Seguì la formazione di un governo di unità nazionale composto dalle formazioni politiche che avevano partecipato alla guerra di Liberazione, cattolici, socialisti, comunisti, liberali, uomini del partito d'azione e monarchici.

La compagine governativa fu presieduta da Ferruccio Parri, uno degli esponenti più prestigiosi dell'antifascismo , dal giugno al novembre 1945 .

Al governo Parri successe il Governo di Unità Nazionale guidato da Alcide De Gasperi, leader del neonato Partito della Democrazia Cristiana, considerato da tutti gli schieramenti politici lo statista più rappresentativo del Novecento.

Il 12 marzo 1948 venne indetto il referendum istituzionale con cui si chiedeva agli Italiani di scegliere tra la forma di Stato Repubblicano o monarchico.

Firmò il decreto Umberto di Savoia, nominato dal padre Vittorio Emanuele III luogotenente del Re, a seguito delle sue dimissioni. Il 9 maggio dello stesso anno abdicava a favore del figlio, recandosi in esilio ad Alessandria d'Egitto.

Gravavano sul monarca sabaudo, il Re soldato, il Re sciaboletta, come veniva chiamato, le pesanti responsabilità per aver spianato la strada al regime fascista a seguito della marcia su Roma del 28 ottobre 1922, rifiutando di firmare il decreto dello stato di assedio presentato dal Primo Ministro Facta e affidando allo stesso Mussolini la formazione del nuovo governo.

La svolta autoritaria del nuovo regime si ebbe con l'approvazione, nel 1923 della Legge Acerbo con cui si attribuiva alla forza politica che aveva ottenuto la maggioranza relativa nel consenso elettorale i 2/3 della Camera.

Nel 1924 venne ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti, che in un discorso tenuto alla Camera aveva denunciato le nefandezze del regime fascista.

La responsabilità del gravissimo crimine va addebitata allo stesso Mussolini, come storicamente accertato.

Un grave sconcerto si diffuse nell'opinione pubblica, che determinò un notevole calo dei consensi nei confronti del regime fascista.

Molti di coloro che lo avevano appoggiato inizialmente (cattolici e liberali) dovettero ricredersi sulle reali intenzioni del regime.

Si costituì una coalizione di diverse forze politiche che rifiutarono di partecipare ai lavori parlamentari, dando luogo all' “opposizione dell'Aventino”, uno dei luoghi della capitale, dove secondo la tradizione si sarebbe ritirata la plebe romana in lotta contro il patriziato.

Sembrava pertanto imminente la caduta di Mussolini di fronte alla pressione dello schieramento contrario.

Le divisioni che si crearono al suo interno, finirono per indebolirne l'iniziale spinta propulsiva, dando nuovo spazio al regime, che colse l'occasione per consolidare il suo aspetto autoritario.

Vennero sciolti i partiti politici e le associazioni sindacali, abolito il diritto di riunione, di libertà di parola e di stampa attraverso la censura sui giornali.

Vennero successivamente emanate severe disposizioni legislative nei confronti degli oppositori che, oltre al carcere prevedevano il confino con l'allontanamento dal luogo di residenza.

Particolarmente severa la legge sulla cosiddetta difesa dello Stato che puniva pesantemente chi era sospettato semplicemente di svolgere attività contro il regime.

Il suo volto violento si manifestò attraverso lo squadrismo che si rese responsabile di una serie di eliminazioni fisiche degli oppositori, tra le cui vittime più illustri ricordiamo Piero Gobetti, Giovanni Amendola e i fratelli Rosselli.

Nel 1938, un anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, su pressione del gerarca nazista Hitler fu approvata la famigerata legge razziale, con conseguenti persecuzioni e deportazioni nei campi di sterminio tedeschi di numerosi esponenti della Comunità ebraica.

La partecipazione dell'Italia, al secondo conflitto mondiale, per assecondare la Germania arrecò gravi danni al Paese per la perdita di numerose vite umane tra la popolazione civile e tra coloro che erano stati inviati al fronte.

Inoltre a seguito degli intensi bombardamenti aerei, un vasto patrimonio urbanistico venne raso al suolo o seriamente compromesso.

La consultazione referendaria del 2 giugno 1948, alla quale avevano partecipato 28.000.000 elettori scelse la forma di Stato repubblicana con 12.712.000 di voti favorevoli (54%) contro i 10.719.000 (45,71%) che si erano espressi a favore della monarchia.

Il 10 giugno dello stesso anno la Corte di Cassazione ratificò tale risultato, mentre il 12 giugno il Governo De Gasperi dichiarerà decaduta la monarchia con l'inserimento di una disposizione che prevedeva che le funzioni del Capo dello Stato venissero provvisoriamente esercitate dal Presidente del Consiglio.

Venne nominato come Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.

L'Assemblea Costituente, eletta con il sistema proporzionale contestualmente alla elezione referendaria, con il riconoscimento per la prima volta del voto alle donne, che ottennero l'elezione di 21 di loro, iniziò i lavori per la preparazione del nuovo testo.

Presiedeva l'assemblea Giuseppe Saragat, sostituito successivamente da Umberto Terracini.

Venne inizialmente nominata una commissione di 75 deputati con il compito di predisporre una bozza del testo, che ultimò i lavori il 12 febbraio 1947.

Il 4 marzo 1947 iniziò la discussione in aula con accesi e appassionati dibattiti.

La Costituzione venne approvata il 22 dicembre 1947 con 453 voti a favore e 67 contrari ed entrò in vigore il primo gennaio 1948.

Va osservato che la grande maggioranza dei componenti si trovarono d'accordo sui principi ispiratori del nuovo testo: l'antifascismo, la sovranità del popolo, la centralità del Parlamento, la tutela delle minoranze, la libertà e quindi il lavoro, l'indipendenza dei poteri di controllo, a cominciare dalla Magistratura.

Come osserva Giuseppe Dossetti, uno dei più illustri componenti dell'assemblea: “ La nuova carta non è stata frutto di compromessi, ma l'edificio in cui sono confluite la tradizione cattolica, liberale e social-comunista.”

Piero Calamandrei, altro insigne costituzionalista, nel 1958 durante un discorso ai giovani dirà: “ Se volete andare nel luogo dove è nata la Costituzione, andate sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, con il pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.”

La Costituzione comprende 139 articoli, l'ultimo dei quali prevede espressamente che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.

Si compone di due parti: la prima riguardante i diritti e i doveri dei cittadini con i titolo dei rapporti civili, rapporti etico-sociali, rapporti economici e rapporti politici.

La seconda parte concerne l'ordinamento della Repubblica con i titoli riguardanti il Parlamento, (le Camere e la formazione delle leggi) il Presidente della Repubblica, il Governo (il Consiglio dei Ministri, la Pubblica Amministrazione e gli Organi ausiliari) la Magistratura (l'Ordinamento Giudiziario e le norme sulla giurisdizione) Regioni, Provincie, Comuni e da ultimo la Corte Costituzionale.

Per quanto attiene la revisione della Costituzione, l'art.138 così recita: “che la legge di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali siano adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e approvate a maggioranza dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.”

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro sei mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o 5 Consigli Regionali.

La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si dà luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione, da ciascuna Camera a maggioranza di 2/3 dei suoi componenti”

.

LE RAGIONI DEL SI E QUELLE DEL NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE

La Costituzione non si riforma per comodo di chi governa, né si respinge se l'attuale governo non piace. Le costituzioni vanno pensate per sempre, come quella americana che dal 1789 ha avuto 27 emendamenti dei quali 10 tutti insieme e dal 1882 più nessuno.

È questo l'incipit di un articolo apparso su di un quotidiano nazionale di Salvatore Settis, professore di Storia dell'Arte e di Archeologia classica, che per alcuni anni è stato Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Osserva ancora Settis che nell'acceso dibattito politico che si è sviluppato tra i diversi contendenti, si pensa di trattare una così importante discussione come una competizione sportiva e non come un dibattito sul merito, dimenticando che dalla tenuta della Costituzione, da valere per molti anni, dipende la vita della Democrazia e della Repubblica.

Puntualizza Settis che preoccupa una riforma che modifica in un solo colpo 47 articoli della Carta, mentre dal 1948 ad oggi sono cambiati 43 articoli, uno ad uno, secondo il principio che le revisioni della Costituzione devono essere puntuali e circostanziate, con una specifica legge costituzionale per ogni singolo emendamento.

Nella formulazione delle norme di revisione della Costituzione, a giudizio di molti, è stato commesso uno svarione istituzionale, inserendo in un unico testo una riforma molto estensiva; con un intervento così invasivo, è certamente improbabile valutare che tutto vada bene o tutto vada male.

Va bene, secondo Settis, aggiungere all'attuale art. 67 “la trasparenza tra i requisiti dei pubblici uffici”.

L'altro punto in cui si può essere d'accordo è la restrizione dei poteri del Governo di emanare decreti legge “art. 77”.

Di contro suscitano alcune preoccupazioni i punti più importanti approvati con il sostegno decisivo di molti parlamentari che per opportunismo hanno cambiato schieramento politico dando luogo a maggioranze risicate e variabili.

Le inevitabili polemiche tra i diversi schieramenti politici hanno dato luogo a scontri piuttosto accesi, con giudizi pesanti e invasivi.

Analoghi schieramenti si sono formati tra gli studiosi costituzionali, che hanno spiegato le contrastanti posizioni in modo più pacato, conforme al loro ruolo.

In un articolo apparso su di un quotidiano nazionale a firma di Massimo Villone, Domenico Gallo ed Altiero Grandi, illustri costituzionalisti, sono state espresse in maniera dettagliata le ragioni del Si e del No all'attuale riforma costituzionale.

Ci serviamo del contenuto dello stesso articolo per illustrare, in forma più concisa, il dibattito che si è acceso attorno al tema e che appassiona molti cittadini, con l'avvertenza che la parte in neretto evidenzia le ragioni del Si e la parte sottolineata quelle del No.

La riforma riduce i costi della politica, cancellando le indennità per i Senatori non elettivi.

Il risparmio è di scarsa entità dal momento che gran parte dei costi viene non dall'indennità dei parlamentari, ma dalla gestione degli immobili dei servizi e dal mantenimento del personale della segreteria.

Anche il Senatore non eletto, ma designato dai Consigli Regionali, ha un costo per le trasferte e per la permanenza a Roma, nonché per l'esercizio delle sue funzioni.

Si sarebbero comunque ottenuti dei risparmi maggiori, mantenendo il carattere elettivo delle due Camere, riducendo la Camera a 400 deputati a fronte dei 630 attuali e il Senato a 200 rispetto agli attuali 360 senatori. Avremmo un totale di 600 parlamentari a fronte degli attuali 730.

I Senatori eletti dai Consigli Regionali, assieme ad un Sindaco per ogni Regione,

rappresentano le Istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni da tempo richiesta.

Nel campo opposto si osserva che un Consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infra regionale, a cui rimane legato per la sua carriera politica.

Lo stesso vale per il Sindaco senatore; stante lo scarso numero, ogni Regione sarà rappresentata a macchia di leopardo e pochi saranno i territori che avranno voce nel Senato, mentre la maggior parte non l'avrà.

Il Senato verrà pertanto trasformato in una camera dei localismi e non delle Regioni.

Sarebbe stato meglio l'elezione diretta del Senato?

Certamente, in quanto i Senatori eletti avrebbero dato rappresentanza a tutto il territorio regionale e a tutti i Comuni. Una vera Camera delle Regioni richiede l'elezione diretta, mentre l'elezione di secondo grado spiana la via ai localismi e agli egoismi territoriali.

Il riconoscimento del seggio senatoriale può costituire la via per creare un circolo di eccellenza nel ceto politico regionale e locale.

È vero piuttosto il contrario, dal momento che c'è il rischio di un abbassamento della qualità dei massimi livelli di rappresentanza nazionale.

Basta considerare le cronache di stampa giudiziarie, con le frequenti notizie di coinvolgimento dei Consiglieri regionali nelle indagini effettuate dalla Magistratura per smentire tale osservazione.

Si riconoscono infatti ai Consiglieri Senatori e ai Sindaci Senatori le prerogative dei parlamentari quanto agli arresti, alle perquisizioni e alle intercettazioni; un'inchiesta penale a loro carico può diventare molto difficile e di fatto impossibile.

Le prerogative non riguardano le funzioni di Consigliere regionale e di Sindaco, che rimangono senza le tutele sopra indicate.

È difficile distinguere se un Sindaco Senatore o Consigliere regionale usa il proprio telefono nell'esercizio delle funzioni connesse alla carica locale o sostiene le sue riunioni nella sua segreteria di Senatore.

Le attività di indagine sarebbero scoraggiate o quantomeno improbabili.

l Senato non elettivo serve a superare il bicameralismo paritario, fonte di continui e gravi ritardi.

Si osserva invece che si poteva realizzare un identico bilateralismo differenziato lasciando la natura elettiva del Senato; mentre per quanto attiene i ritardi denunciati, dalle statistiche parlamentari è emerso che nella legislatura 2008/2013, le leggi di iniziativa governativa sono arrivate all'approvazione definitiva, mediamente in 116 giorni.

Il bicameralismo differenziato semplifica comunque i processi decisionali e assicura maggiore rapidità.

Negli art.li 70 e 72 vigenti, relativi alla formazione delle leggi, il procedimento legislativo è disciplinato con 198 parole; la legge di riforma sostituisce i 2 articoli con 870, pertanto non si tratta di una semplificazione, ma di una moltiplicazione dei procedimenti legislativi, creando incertezze e conflitti tra le due Camere.

In molte materie la Camera dei Deputati ha l'ultima parola, evitando reiterati passaggi tra le due formazioni parlamentari.

Tali lungaggini non derivano dal sistema bicamerale, ma sono frutto delle divisioni politiche della maggioranza governativa e si manifesterebbero anche con una sola Camera.

La fiducia al Governo data da una sola Camera contribuisce alla stabilità dello stesso organo.

Si osserva da parte avversa che nell'intera storia della Repubblica il diniego della fiducia ha fatto cadere solo 2 Governi (Governi Prodi).

Il rapporto di fiducia verso una sola Camera ne rafforza la governabilità.

La governabilità non dipende dal numero delle camere , ma dalla coesione della maggioranza che sostiene il Governo. Una maggioranza composita e frammentaria non potrà mai garantire la governabilità.

È decisiva una buona legge elettorale che contenga i valori “ governabilità e rappresentanza”.

Per quanto attiene ai rapporti della nuova Carta costituzionale con la riforma della Legge Elettorale, il cosiddetto Italicum, si sostiene che lo stesso costituisce il giusto completamento alla riforma costituzionale realizzando i valori di governabilità e di rappresentanza.

Al contrario l'Italicum riproduce le anomalie del Porcellum, già dichiarate costituzionalmente illegittime: eccesso di non proporzionalità tra i seggi attribuiti con il premio di maggioranza, per di più dato a un singolo partito, la lesione della libertà di voto per l'elettore per il voto di blocco sui capolista che possono essere candidati in più collegi.

L'Italicum prevede una soglia del 40%, superata la quale la lista ottiene 340 deputati e il ballottaggio a due, nel caso in cui tale soglia non venga raggiunta.

Con il ballottaggio ci sarà comunque un vincitore se supera il 50% dei voti.

Al ballottaggio e al premio di maggioranza si accede senza aver raggiunto nessuna soglia. A titolo esemplificativo, un partito che prendesse 2 voti e l'altro 1 voto, il primo otterrebbe 340 seggi.

Con l'attuale legge elettorale è possibile che un singolo partito possa raggiungere con pochi consensi una maggioranza blindata di 340 seggi, mentre gli altri soggetti politici, pur assommando un numero maggiore di consensi, si devono dividere i seggi rimanenti.

Il premio di maggioranza non è di per se incostituzionale.

Ma è incostituzionale quello dell'Italicum dal momento che la soglia del 40% configura un premio di maggioranza enorme contro i 140 deputati garantiti.

Inoltre, dal momento che i 340 deputati sono assicurati alla lista vincente, il premio sarà maggiore per chi ha il 40% dei voti e minore per chi ha il 41%.

Non è corretto censurare l'Italicum con l'argomento che apre la via al governo di un solo uomo.

Al contrario si sostiene che l'Italicum prevede, come già il Porcellum, la figura del Capo del Partito.

Il voto bloccato sui capi-lista e le candidature plurime per gli stessi capolista, consentono al leader del partito di controllare in ampia misura la scelta dei parlamentari da eleggere.

La concentrazione del potere è pertanto indiscutibile.

Si sostiene eccessiva l'accusa di una deriva autoritaria quando resta intatto il principio del bilanciamento tra i vari poteri istituzionali.

Sul punto si ribatte che la riduzione del numero dei Senatori e il dominio di una Camera, assicurato dal premio, rendono decisiva l'influenza della maggioranza di Governo sulla elezione, in seduta comune, del Capo dello Stato e dei membri del CSM come anche per la scelta dei membri della Corte Costituzionale e delle altre autorità indipendenti.

Sono effetti bilanciati dal rafforzamento degli istituti di democrazia diretta, ad esempio per l'iniziativa legislativa popolare.

È falso. Le firme occorrenti per la presentazione di una proposta di legge sono triplicate da 50 a 150.000, mentre le garanzie sono rinviate al Regolamento e la maggioranza del Parlamento rimane libera di rigettare o modificare la proposta.

Il referendum abrogativo si rafforza per l'abbattimento del quorum di validità fissato alla maggioranza di votanti, nelle ultime elezioni per la Camera.

Va osservato che tale ipotesi si verifica nel caso in cui il referendum sia stato richiesto da 800.000 firme, tetto assai difficile se non impossibile da raggiungersi in un periodo in cui i partiti e i sindacati si sono indeboliti.

Non si capisce perché il referendum debba avere un quorum più alto, se sia richiesto da 500.000 cittadini e più basso se richiesto da 800.000 elettori.

Si prevedono i referendum propositivi e di indirizzo.

Tali referendum sono solo menzionatia futura memoria nella legge di riforma che ne rinvia la disciplina ad una successiva legge costituzionale.

Non si comprende pertanto il motivo per cui la modifica del testo non abbia previsto la sua introduzione immediata.

Per quanto attiene alle modifiche apportate al Titolo V della Carta riguardanti le autonomie locali, l'Art. 114 del Testo attuale prevede che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Provincie, le Città Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri Statuti, poteri e funzioni secondo i principi fondanti della Costituzione.”

L'Art. 116 prevede per i territori del Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino Alto Adige Sud Tirol e la Valle d'Aosta, forme particolari di autonomia secondo i rispettivi statuti.

L'Art. 117 recita che “la podestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”

la disposizione elenca dettagliatamente le materie in cui li stato ha la legislazione esclusiva nonché quelle del legislatore concorrente spettante alle Regioni e non espressamente riservate allo Stato.

Va preliminarmente osservato che a seguito della modifica costituzionale del 18.19.2001, i poteri delle autonomie locali sono stati ampliati rispetto all'originario testo del 1948.

Per i sostenitori della riforma recentemente approvata che verrà sottoposta a Referendum confermativo il prossimo ottobre si sostiene che sono stati riconosciuti gli errori della precedente modifica, semplificando il rapporto Stato-Regioni, che in passato ha dato luogo a numerosi contenziosi davanti alla Corte Costituzionale, con conseguente rafforzamento dello Stato, mediante il conferimento di poteri legislativi importanti.

Da parte avversa si sostiene che non si correggono i vecchi errori per crearne dei nuovi, sostituendo alla frammentazione dei poteri Stato-Regione un neo centralismo statalista che sottrae ai territori ampi spazi di gestione, come il caso di attribuzione allo Stato in materia di opere di interesse nazionale. Inoltre la soppressione della podestà concorrente per semplificare il rapporto Stato-Regioni, ha creato una nuova categoria “di disposizioni generali e comuni” che è difficile distinguere dalla cornice dell'attuale podestà concorrente.

Infine si rileva che l'attuale riforma riduce gli spazi di partecipazione democratica e di rappresentanza degli Enti locali.

La soppressione del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro – CNEL – è positiva.

L'abolizione di tale ente è considerata da tutti positiva dal momento che tale soppressione consente di ottenere consistenti risparmi per le spese di gestione e per i generosi emolumenti erogati ai componenti dell'ente medesimo. Tale soppressione comprende solo poche righe in una modifica della Costituzione, per altro molto ampia e stravolgente.

Se la riforma fosse stata più mirata, non avrebbe dato luogo a polemiche.

La positività della soppressione del CNEL non può bilanciare la valutazione negativa di tutto il resto.

Per concludere, lo scontro tra i sostenitori del Si e del No ha coinvolto gli opposti schieramenti politici, con pesanti interventi, tra cui lo stesso Governo che come suggerito da Piero Calamandrei in occasione della Carta nel 1948, avrebbe dovuto astenersi da ogni giudizio in merito, impegnandosi a raggiungere una maggiore coesione tra tutte le forze parlamentari.

Nell'ipotesi che le norme di riforma costituzionali non ottengano la maggioranza dei consensi nel Referendum fissato per il prossimo mese di ottobre, sarà certamente necessario procedere ad una revisione più mirata con una maggiore coesione dei membri del Parlamento, come già auspicato l'11 marzo 1947 dal costituente filosofo laico Benedetto Croce che invocava l'intervento dello Spirito Santo “veni creator spiritus” per illuminare le menti dei costituenti.

A cura di Romano Figaia e Laura Cavalieri M.

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CIRCOLO CULTURALE SANDRO PERTINI dell’isola d’Elba Presidente onoraria Diomira Pertini

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