L’accordo sul nucleare visto dalla bancarella di Ali Agha

22/07/2015

Racconto geopolitico sull’intesa tra Iran e Stati Uniti.

di Bijan Zarmandili

 

 

IL GIORNALISTA E SCRITTORE ZARMANDILI VINCITORE

NEL 2007 DEL PREMIO LETTERARIO ELBA

 

Cover Contro rivoluzioni 

 

 

La brezza proveniente dal Mar Caspio muoveva leggermente i platani, i cipressi e i salici del Mettal Park nella città iraniana di Rasht, ma Ali Agha sapeva che per i giorni successivi si prevedevano piogge e si domandava preoccupato dove avrebbe sistemato il suo mercatino all’aperto. Ha superato oramai i sessant’anni e ha fatto tutti i mestieri: il pescatore, l’operaio, il manovale presso le imprese edilizie, ma dopo i 45 anni, ha deciso di mettersi in proprio e, secondo le sue parole, di “svolgere la libera professione di commerciante”. Si era, quindi, procurato un piccolo carretto, si recava all’alba al mercato comunale per comprare qualche cassa di verdura e di frutta di stagione e fino al tramonto si fermava all’ingresso del Mellat Park, verso l’ingresso di Golsar, per guadagnarsi la giornata, ma soprattutto, per scambiare due chiacchiere con i clienti. Era considerato un uomo informato nel suo quartiere e ci teneva a intrattenere i clienti con i principali temi del momento, innanzitutto quelli politici.

Quella mattina, 15 luglio, era appena giunta la notizia della firma degli accordi sul nucleare iraniano e lui si era preparato una serie di argomenti da scambiare con chi incontrava.

La donna con una sciarpa estiva di color verde sui capelli con i ricci che ne escono dai lati prende in mano una melanzana e la preme leggermente: “Mi sa che è piena di semi!”.
“Cosa mi dice, cara sorella! I semi, caso mai, se ci saranno, non ce li troverà all’inizio del raccolto, ma verso la fine: siamo appena all’inizio dell’estate; mi dia retta, queste sono meglio delle melanzane di Bam. I semi, caso mai, saranno quelli del benessere, se Allah vuole, quando ci leveranno il maledetto embargo e faranno circolare nel paese qualche soldo in più. Allah è grande! ne prenda una decina per il suo khoresht-e-bademjan: mi dirà domani se avevo ragione!”
La donna fa un sorriso e mentre sceglie le melanzane, dice con sarcasmo: “Speriamo che, come le melanzane di Bam, gli accordi non siano bacati. Meglio non fidarsi. A firmare gli accordi è stato Barack, ma lui tra poco se ne andrà e non si sa chi verrà al suo posto: se ci sarà la moglie di Clinton, mi sa che darà più ascolto agli israeliani che a noi; e andrà ancora peggio se ci sarà un presidente repubblicano. Quante scuse inventeranno per dire che stiamo ancora a costruire la bomba!”.
Ali Agha pesa la merce, prende i soldi e guarda con ammirazione la donna che ha ancora il sorriso sulle labbra e uno sguardo furbo di chi non si fa ingannare dalle apparenze.
“Sa che non avevo pensato a quello che mi ha detto: Barack ha i giorni contati e molte cose potranno cambiare dopo di lui. Che Allah la protegga sorella! Domani porto anche un po’ di zucchine”.

Ali Agha comincia a smistare la cassa delle cipolle e schizza con l’acqua i cetrioli, ma la sua mente è ancora occupata dalle parole della donna. È vero che l’America non può modificare gli accordi siglati dai precedenti presidenti, ma ci sono decine di clausole vessatorie che possono bloccare l’esecuzione degli accordi e si ricorda di quando il riformista Khatami stava per raggiungere un accordo con gli Stati Uniti e poco dopo Bush inserì l’Iran nell’Asse del male. Decide però di non farsi scoraggiare dalle future eventualità e pensa al suo Hassan, che ha finito una scuola agraria, ma che è ancora disoccupato. Magari ci saranno dei nuovi finanziamenti e le aziende riprenderanno a funzionare. Pensa di dover parlare con il figlio che è un po’ depresso. Ha quasi ventitre anni e prima o poi dovrà anche sposarsi. Vero, fa dei lavori saltuari, ma prega Allah che possa giovare anche al suo Hassan la fine delle sanzioni.
Nel frattempo si erano fermati altri clienti, ma sembravano aver fretta, oppure di avere poca voglia di chiacchierare. Soltanto una donna di età indefinibile, coperta interamente da un chador nero, ha fatto una battuta sull’avvenimento del giorno: “È stata la volontà dell’Onnipotente, prevista dall’Agha, il supremo Rahbar. Che Allah protegga l’Ayatollah Khamenei”. Ali Agha non ha osato replicare.

Arriva un uomo anziano, vestito con una certa eleganza. Ha baffi grigi ben curati e, dagli occhiali da vista che portava, Ali Agha ha pensato che fosse un professore in pensione.
“Salam Signor Professore. Ha già fatto la sua passeggiata nel Parco? C’è un po’ d’aria questa mattina, ma temo che ci saranno delle piogge nei prossimi giorni: arrivano dal Mar Caspio nubi che promettono cattivo tempo. Ha visto come sono belli i cetrioli questa mattina? Anche i pomodori sono appena colti e saporitissimi, le melanzane poi sono davvero senza semi”.
“Salam. Come sta? Qualche pioggia forse non è male e farà calare l’umidità e l’afa. Lei mi chiama Professore, ma sono soltanto un medico in pensione e da quando ho lasciato lo studio e l’ospedale, ho detto a mia moglie che la spesa la faccio io: siamo rimasti noi due e i figli sono tutti sposati, qualcuno è all’estero e due di loro lavorano a Teheran. Mi sto però dilungando troppo e le faccio venire il mal di testa: mi servono tante cose: cipolle, melanzane, qualche chilo di patate e anche un paio di cetrioli”.
“Dottore, questo modesto carro è di sua proprietà esclusiva: scelga quello che vuole: lei è il padrone e io sono qui per servirla”.
L’anziano medico replica con altrettanti complimenti e mentre prende i pomodori, si schiarisce la gola e con calma dice quasi sottovoce: “Ce l’ha fatta Zarif”.
Ali Agha si aspettava un riferimento agli accordi con l’America, ma non gli pareva opportuno introdurre per primo l’argomento. Gli torna il buonumore e domanda con discrezione: “Pensa che possa durare?”.

“Nessuno può prevedere il futuro, in particolare quando si tratta di politiche delle potenze. Nell’immediato, forse anche a medio termine, cambieranno i rapporti di forza nella regione: noi saremmo rafforzati, anche grazie a una maggiore partecipazione nel commercio e nel mercato di petrolio e gas. Peseremo di più nell’area, ma avremo anche più nemici che vedono in noi il diavolo e vorranno annientarci, a cominciare da Israele e dai sauditi, che non è detto che non si alleino proprio con Israele in funzione anti-iraniana. Altri non vedranno di buon occhio l’intesa tra l’Iran e l’Occidente: la Turchia, per esempio. Qualcosa succederà anche nei rapporti con il Pakistan e persino con l’India. Ma, caro amico, tutto questo fa parte dei conflitti nella periferia del mondo: il Medio Oriente non è altro che uno dei tanti sobborghi delle grandi potenze, subalterni alle loro esigenze strategiche. L’intesa sul nucleare con l’America, Allah mi perdoni se sbaglio, rientra in un gioco più grande, che riguarda i futuri rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina e immagini come potrà mutare nel lungo periodo l’equilibrio delle forze tra la superpotenza americana in declino e la superpotenza cinese in ascesa. L’Iran ha tutte le premesse per evolversi in una potenza regionale: pensi all’enorme estensione del nostro territorio, alle nostre risorse naturali, gas e petrolio, alla nostra capacità nei campi della tecnologia, tanto è vero che siamo stati in grado di mettere su quasi in autonomia un’industria atomica. Allora, mio caro amico, lei pensa che tutto questo non interessi agli americani per il destino della propria geostrategia?”

Ali Agha era rimasto in silenzio durante il lungo monologo dell’anziano medico e alla fine si è domandato se aveva capito davvero tutto il ragionamento o se qualcosa gli era sfuggito.
“Lei vuol dire che gli accordi con l’Iran sono stati fatti anche in funzione dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina?”
“Non sono certo, ovviamente, di poter stabilire un nesso diretto tra i due argomenti. Nulla però accade senza che si tenga conto dei contesti globali, in particolare quando ad agire è una superpotenza mondiale. E mi auguro che ciò non sfugga al nostro Zarif.”
Mentre parlava, l’anziano medico aveva scelto le verdure che gli occorrevano; al momento di pagare ci sono stati alcuni minuti di uno squisito scambio di complimenti tra i due, con Ali Agha che insisteva “queste poche cose non sono degne di Lei e io non mi permetto di ricevere alcun denaro” mentre l’illustre cliente ripeteva: “Non mi permetterei mai di approfittare della sua generosità, della sua signorilità e mi sentirei mortificato se ignorassi il tempo e il denaro che Lei ha perso con me”. Alla fine la merce è stata pagata per intero e i due si sono augurati a vicenda la protezione di Allah.

Con i clienti successivi Ali Agha ha sbrigato in fretta la vendita delle sue verdure, tanto era catturato dalle parole appena sentite dall’anziano medico. Poi, dalla moschea vicina si è alzato il canto del moazzin, così ha condotto il suo carretto verso l’ingresso della moschea per andare a raccogliersi nella preghiera del mezzogiorno insieme agli altri fedeli. Mentre si metteva in fila dietro all’imam, pensava ancora a come i cinesi sarebbero stati irritati dall’accordo tra l’Iran e l’America.
Tornato al suo posto all’ingresso del Mellat Park, ha preferito fermarsi all’ombra di un pioppo per ripararsi dal sole di quell’ora che avrebbe fatto appassire la sua merce e gli avrebbe impedito di mangiare il suo pranzo in santa pace. Ha aperto il suo largo fazzoletto e tirato fuori il pane imbottito con la carne pressata insieme ai legumi e alla cipolla, inghiottito una bella sorsata di doogh, una bevanda fatta con yogurt e acqua e aromatizzata con la menta. Intanto i passanti gli auguravano “buon appetito” e lui li invitava a condividere il suo pranzo e da tutti riceveva un cordiale “nush-e-jan”, “che vada in beneficio alla tua anima”. Si è concesso anche un breve riposino, chiudendo gli occhi e pensando se, oltre agli israeliani, anche i nemici interni di Rohani avrebbero impedito che gli accordi avessero un buon esito.

Riaperti gli occhi, vide uscire dal parco un giovane sui trent’anni con una cartella di pelle marrone. Portava una camicia bianca mal stirata e aveva uno sguardo affaticato. Se lo trovò poco dopo davanti mentre guardava la merce, facendo un cenno di saluto con la testa. “Salam. In cosa posso servirla? È verdura fresca: scelga quello che vuole. La faccio risparmiare”.
“Grazie”, intanto l’uomo poggiava la borsa su un lato del carretto e prendeva di ogni cosa pochi pezzi: appena un paio di melanzane, un pomodoro e qualche patata.
“Torna ora dal lavoro? Le auguro buon riposo”.
“Sì, torno dall’ufficio, sono impiegato comunale. Mia moglie è incinta e deve badare ai nostri due figli. Tocca a me fare un po’ di spesa a quest’ora. Lo stipendio è quello che è e i soldi non bastano mai. Sa, sono diplomato, ma per il momento sono un semplice impiegato. Si dice che molto cambierà quando toglieranno le sanzioni”.
“Lo spero anch’io: ho un figlio disoccupato. Anche lui è diplomato”.
“Tutto dipende però dal fatto che i conservatori lascino il governo procedere come si deve, applicando le clausole degli accordi. Io non sono del tutto convinto che lo lasceranno fare: sono ancora forti quelli che ritengono che l’America sia ancora satana”.
Ali Agha riflette qualche istante prima di domandare: “Sono i pasdaran che remano contro?”.
“Chi lo sa? Ma non pensavo a loro. Posso anche sbagliare: secondo me gli americani hanno avuto dei contatti diretti con i pasdaran, magari con lo stesso generale Soleimani che è in Iraq per combattere lo Stato Islamico con l’appoggio indiretto degli americani. Nessuno lo dirà mai, ma non è possibile che i diplomatici americani non abbiano sondato l’umore dei pasdaran prima di firmare gli accordi. Sa, se qualcuno potrà rovesciare il tavolo e mandare all’aria gli accordi di Ginevra, quelli sono senz’altro i pasdaran, che qui controllano ogni cosa, anche l’economia e la finanza. Il loro consenso c’è stato, altrimenti Zarif non avrebbe potuto firmare. Il pericolo ora proviene dagli ambienti vicini ad Ahmadi-Nejad, o legati al clero conservatore. Saranno anche stati indeboliti dal  successo di Rohani e di Zarif e dal tacito consenso di Khamenei: i conservatori, tuttavia, sono ancora vivi e vegeti”.

Le perplessità di Ali Agha aumentano, anche perché non avrebbe mai pensato che gli accordi fossero così complicati e, forse, incerti. Ma non vuole arrendersi: “Allah è grande. Un primo passo intanto è stato fatto. Se sarò ancora in vita, voglio sperare che altri passi seguiranno, magari a favore di noi disgraziati”.  L’uomo paga la merce e si avvia verso casa, dopo aver fatto un sorriso incoraggiante ad Ali Agha: sembrava tutto sommato meno affaticato.
Fino a sera, prima che il sole calasse e qualche nube dal Mar Caspio coprisse il cielo di Rash, i clienti di Ali Agha furono solo sette o otto, ma lui aveva venduto la maggior parte della merce e cominciava a riordinare la carretta per tornare a casa.
All’ultimo momento però arriva di corsa una ragazza, con una sciarpa estiva azzurra in testa e un ciuffo di cappelli tinti, biondi, che le coprono la fronte. Ha un paio di jeans piuttosto attillati e una larga camicia verde che le copre metà del corpo.
“Salam figlia mia. Vai di corsa, ma io stavo chiudendo. Cosa ti serve?”.
“Vorrei un chilo di patate. Ha detto mamma che devono essere quelle meno grosse. Mi scusi, Salam”.
Ali Agha osserva divertito il suo viso goffamente truccato che a suo parere le attribuisce più anni di quanti ne abbia. Mentre recupera quel che resta delle patate dalla cassa, dice sottovoce alla ragazza: “Vedrà che prima o poi sarà anche libera di togliersi la sciarpa dai capelli e andare in giro come vuole. Le cose stanno per cambiare, anche per voi ragazzi”.
“Lo dicevano questa mattina anche a scuola, ma io non ci credo. Siamo una Repubblica islamica e resteremo una Repubblica islamica. In particolare ora che quelli al governo hanno vinto la loro battaglia sul nucleare e sull’America. Qualcosa di più lo otterremo, sì, ma le sciarpe dovremo sempre portarle, non saliremo sull’autobus con i maschi e ogni tanto ci arresteranno perché abbiamo violato i precetti religiosi. Io però farò quello che mi pare e non mi faccio intimidire da nessuno”.
“Basta che non dimentichi le sue preghiere per Allah”.
La ragazza non risponde e con uno sguardo leggermente beffardo si allontana di corsa.

Ali Agha spinge il suo carretto lungo il viale del Mellat Park e si ferma per alcuni minuti davanti al laghetto per ammirare le evoluzioni dei germani reali. L’aria si è notevolmente rinfrescata e il leggero vento trasporta più vicino le nuvole. Il carretto è coperto da un grande telo di plastica e Ali Agha ne svolge un altro più piccolo per ripararsi la testa e il vestito. Spinge il suo mercatino fino a Boulevard Ansari e prende la strada per raggiungere la sua casa a Golsare, alla priferia nord della città. È di buon umore e si mette a fantasticare sul futuro: una sicura occupazione per il figlio, una bella nuora, la figlia maggiore gli farà avere altri nipoti, ma innanzitutto, ci sarà una Vespa a camioncino per sé, in modo di poter caricare più merce e andare dove vuole senza dover spingere il carretto. Comincia a piovere e Ali Agha non pensa più alla rivalità tra Cina e America, ai conservatori nemici degli accordi, agli avversari regionali e alla giovane ragazza che non crede ai miglioramenti sociali e di costume. Per lui, quel 15 luglio è stata una giornata meno brutta degli altri giorni.

Per approfondire: “Un’intesa sul nucleare, malgrado tutto

ARTICOLI, Iran, nucleare, Medio Oriente

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